Il progetto Brando, più che una band, sembra essere un collettivo di musicisti che si chiude attorno all’affascinante figura dell’attore Marcello Maietta. Lavorando di fantasia, immaginando un’ipotetica rivalità (giochino che tanto andava di moda ai tempi d’oro della musica italiana ed internazionale) tipo Beatles/Rolling Stones oppure Spandau Ballet/Duran Duran, il suo naturale contraltare non potrebbe che essere il Tommaso Paradiso ai tempi dei The Giornalisti. La figura all’interno della band attira su di sé, inutile negarlo, tutti i riflettori. L’impressione è confermata dai quattro video che i Brando hanno fatto precedere all’uscita del full length, tutti incentrati sull’immagine positivamente “edonistica” di Maietta. A parte questa impressione questo gruppo nasconde al suo interno non poca eccellenza, a partire dalla sezione ritmica formata da Andrea Piccinini alla batteria e Gianluca Amici al basso, che con gusto ed amore per la sintesi, impreziosiscono le composizioni dell’autore e del tastierista co-fondatore del progetto: Francesco Casadei Lelli. Facciamo i complimenti soprattutto al drummer per i suoni su tutti i brani in cui compare.

Recensire un artista poliedrico come Marcello Maietta non è comunque cosa facile. Musicalmente i brani esplorano mondi a volte talmente diversi fra loro da risultare in alcuni casi persino in contrapposizione.

In “La vita che ti perdi” sentiamo l’eco di un Fabrizio Moro in vena di andare a Sanremo. La produzione è sempre mirabile e l’uso di un serrato 4/4 ben si adatta alla “video-camminata” del protagonista, forse un po’ troppo “Bitter Sweet Symphony” style(The Verve). Il pezzo, all’interno del disco, fa da contraltare alla bella “Rimpiangeremo noi”. Qui Brando sterza con forse troppa velocità verso sonorità indie-rock. Il brano richiama i Verdena di “Wow”. I cantanti “pigri”, le batterie profonde, ci danno una resa sonora piuttosto tagliente ed evocativa. E’ questo il brano dell’album dove viene più fuori lo spirito da band dei Brando, segno che alle volte, fare un passo indietro per i frontman, non è sempre una cosa negativa, anzi.

Altra nota positiva è “Un letto da rifare”. Il brano si muove su un pavimento di suoni eterei ancorché l’armonia si basi su accordi in minore. Vi ritroviamo profumi di Fabi e colori vagamente ironici alla Gazzé. Il video si rifà smaccatamente a quello di “Casting” dei Mambassa e questo ci fa risultare ancora più simpatico un brano che non difetta in qualità.

Ma è quando ci sembra di aver capito tutto di questo progetto che arriva il “capitolo” che ci spiazza e non in negativo. E’ in “Stare fermo qui” che individuiamo il vero nucleo di questo collettivo, la sua forse vera essenza e la sua potenzialità ancora non pienamente espressa. Le ambientazioni, per quanto si rifacciano ad esperienze ampiamente “visitate”, potrebbero, se maggiormente approfondite, aprire grandi scenari a questa band. In questo brano ci sembra persino di scorgere i migliori lavori di Jakatta (One Fine Day).

Per concludere, è un disco che gira bene “Le nostre verità”, un disco alternative rock che ti sorprende, un disco frutto del lavoro di una band che, senza dubbio, ha tanto talento da offrire al suo pubblico.

a cura di Max