Chi sei? Parlaci del tuo progetto musicale..

Mi chiamo Matteo Venegoni, sono un chitarrista della provincia di Varese, ex Nekrosun. È iniziato tutto nel 2010, in un periodo in cui sentivo il bisogno di fare qualcosa che fosse solo mio, non per la band. Ho composto alcune canzoni, di cui la prima in assoluto è stata “Origins” (a proposito, grazie per la recensione), e ho sentito subito di essere sulla strada giusta. Così è nato il Detevilus Project. Ho passato qualche anno a preparare materiale, mi sono creato un mini studio in casa e ho iniziato a imparare a registrare e mixare. Nel febbraio 2019 sono riuscito a pubblicare il mio primo brano “Introducing Myself”, dando veramente inizio a tutto. Nelle mie canzoni prendo elementi dai miei generi preferiti, Death Metal, Prog e Djent, e cerco di fonderli inisieme, per cercare di ottenere un buon mix tra potenza e atmosfera. La decisione di indossare la maschera, inscindibile dall’immagine del progetto, è stata presa poco prima della prima pubblicazione.

Da quanto tempo canti/suoni? Quante volte provi a settimana? Riesci a bilanciare la tua carriera artistica con la tua vita?

Suono la chitarra da quando avevo 13 anni, quindi ormai dal 2001. Cantare per me è una parola grossa, diciamo che ci provo da 3 anni a questa parte. Non ho dei giorni precisi in cui allenarmi, cerco di farlo ogni volta che ne ho la possibilità. Riuscire a trovare un equilibrio tra vita e progetto non è sempre facile. Comporre, registrare, preparare i video, stare dietro ai social, portano via un sacco di tempo. Se aggiungiamo vita privata e lavoro diventa più complicato. Di solito cerco di programmare le varie attività, in modo da poter fare tutto con tranquillità.

Qualche aneddoto, episodio particolare che vorresti raccontarci?

Non è legato al progetto, ma ai miei inizi come chitarrista. La mia prima chitarra elettrica mi era stata regalata dai miei genitori. Mentre la stavano pagando, mi hanno detto: “tanto la userai un mese e poi la lascerai perdere, lo sappiamo già”. Sono passati quasi vent’anni ahahah.

A cosa ti ispiri per scrivere le canzoni e quali sono i tuoi riferimenti musicali?

Per comporre e scrivere i testi mi lascio ispirare da qualsiasi cosa. Può essere una melodia che mi viene in mente a caso, un qualche particolare episodio che ho vissuto o che comunque mi ha colpito, la mia fidanzata, la Natura, un libro, un film… l’importante è che suscitino in me una forte emozione. Riguardo ai miei riferimenti principali, sono tanti, ma in cima alla lista ci sono Death, Gojira, Devin Townsend, Meshuggah e Periphery.

Come è nato invece il tuo nome d’arte?

Ho voluto giocare sulla sciocchezza del Metal=musica del diavolo. Io suono Metal, quindi suono la musica del diavolo. E allora liberiamolo questo diavolo dentro di me. Infatti se si scompone Detevilus in De-Te-Vil-Us e cambi la posizione, si ottiene Devil Teus.

Sei un chitarrista eccellente e virtuoso; quanto è importante la tecnica nella produzione musicale?

La tecnica è fondamentale, è sicuramente difficile da ottenere e c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare, ma poi ti permette di fare le cose al meglio. Però sono convinto, almeno nel mio caso, che l’istinto sia l’aspetto più importante, è ciò che ti permette di suscitare emozioni nell’ascoltatore, qualunque esse siano. E spero di riuscire nell’intento. La tecnica deve essere più un aiuto.

Per affermarsi conta più il talento o lo studio?

Credo che talento e studio debbano andare di pari passo. Il talento ti permette di fare belle cose, ma è solo con lo studio che possono essere migliorate, in qualsiasi ambito. Quindi direi 50 e 50.

La tua fonte di ispirazione…

Le emozioni.

Che differenza “emotiva” c’è nel suonare per una band e nel suonare per se stesso?

Per le esperienze che ho avuto, nel comporre dovevo tener conto dei gusti degli altri membri nella band, spesso differenti gli uni dagli altri. Questo ha plasmato molto quello che è il mio stile, ma non mi permetteva di esprimermi al meglio. Suonare da soli invece ti dà la piena libertà di fare tutto quello che vuoi, devi compiacere solo te stesso, i limiti non esistono più. E la trovo una cosa fantastica. Di contro però manca quel sentimento di aggregazione che c’è all’interno di una band.

Il ricordo più bello legato al percorso professionale…

È legato all’ultima mia canzone che ho pubblicato, “Forgive Us”. Dopo averla registrata, la prima persona a cui l’ho fatta sentire è stata la mia fidanzata. Ha detto che l’ha fatta emozionare così tanto che si stava per mettere a piangere per la commozione. Sapere che una tua canzone possa far provare qualcosa di così intenso, secondo me non ha prezzo.