Miryam e Yosep sono due ebrei che si affidano alle sacre scritture. I due sono promessi sposi ma le divergenze rendono la cosa piuttosto insolita. Lei è giovanissima e sognatrice, lui è più grande e guarda alla praticità delle cose. I due si troveranno a vivere una vita insieme, e ad essere i genitori della figura più importante di ogni tempo: Gesù. Di grande impatto narrativo, dopo numerose peripezie, l’annunciazione dell’angelo Gabriele e molto altro, è l’arrivo in Egitto. Qui il lettore si troverà dinanzi nuovi interessanti personaggi. È il caso di Kako, moglie di Barak, e Mut Amaris, figlia di questi ultimi, ritrovatasi incinta. L’autore racconta di differenze sostanziali, tra quelle che fino a quel momento sono state le donne del testo, e quelle che di lì a poco il lettore si ritroverà dinanzi. Le donne d’Egitto si intrecciano i capelli, hanno il capo scoperto, e i loro vestiti sono così leggeri da lasciare intravedere parti sensibili del proprio corpo. Egli sono affini ai riti pagani, e la loro festa più importante è quella che riguarda la dea Bastet, ovvero la dea gatto. Queste differenze di rito e vita, vengono descritte a pieno, permettendo al lettore di scindere tra le donne del tempio, quelle di Gerusalemme e quelle d’Egitto.

A restituire al testo toni più religiosi sono senz’altro i dialoghi con Barak e Jethro. Essi infatti, permettono al lettore di indagare da vicino il mito della resurrezione e di come la morte sia sempre dietro l’angolo. Saranno loro stessi a parlare della venuta al mondo di un “mashiach”, ovvero di un essere che estirperà il male del mondo. L’autore non perderà mai la patina di religiosità da cui è stato impastato il libro, ma egli attraverso una storia dettagliata di Miryam e Yosep, fornisce una nuova visione di quella che è la storia più antica e importante del mondo. I due non appaiono mai come soggetti inarrivabili, quanto piuttosto come persone comuni a cui è capitata una cosa straordinaria. Sarà l’ultima parte infatti, a confermare tale significato: Miryam e Yosep giacciono insieme, finalmente come marito e moglie, in un racconto delicato, che vede i due protagonisti di una notte d’amore senza vizi, senza colpe, in un intreccio dove si amano teneramente, e attraverso il quale nascerà una nuova vita: Yacob.

Di Yoshua, non si sa molto, essendo ai suoi primi anni di vita, tuttavia, appare come un bambino perennemente affamato, testardo e deciso. Sul finale lui stesso sembra consapevole dell’importanza che avrà nel mondo, in un gioco di segreti dove Miryam, sua madre, scherzosamente lo mette a tacere. È un Gesù che ancora deve germogliare, coccolato dalle attenzioni di una famiglia amorevole e che per metterlo al mondo e tenerlo al sicuro, è stata capace di compiere un viaggio in mezzo al nulla, partorendo in una fredda capanna.
Il testo risulta un gioiello unico, attraverso il quale Paolo Ballardini, è riuscito a sfruttare le storie dell’antico testamento e i miti di creazione e di resurrezione che circolavano nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, per approfondire in maniera sapiente le numerose tematiche del testo. La sua ricerca è precisa e dettagliata, e si barcamena tra vangeli apocrifi e non, volumi sacri e racconti storici sulle religioni e le culture di altri popoli. Il testo brilla di luce propria, raccontando una storia sotto il punto di vista storico, sociale, antropologico e culturale, in cui l’uomo è lui stesso protagonista di una storia senza tempo.